Ernia del disco: Protocollo Dyshernic
Chi ne soffre lo sa, l’ernia del disco è un disturbo che, se pur non grave, è in grado di condizionare la nostra quotidianità in termini di vita sociale e lavorativa.
Il dolore, spesso molto intenso, acuto e tagliente è invalidante e peggiora quando raggiunge l’arto interessato; sarà il braccio/mano in caso di ernia cervicale e la gamba/piede in caso di ernia lombare.
L’arto o gli arti interessati, nei casi “più fortunati” potrebbero essere solo colpiti da parestesia e/o debolezza e, in ogni caso, obbligarci ad una posizione antalgica, cioè una postura che ci riduca la fastidiosa sintomatologia.
Ma cos’è l’ernia del disco?
E’ la fuoriuscita dalla propria sede del disco intervertebrale andando così in conflitto con la radice nervosa che origina dal proprio plesso cervicale o lombare (meno frequente a livello dorsale) e si ramifica all’arto interessato.
Mi spiego meglio…
Il disco intervertebrale è un vero e proprio ammortizzatore naturale, interposto tra una vertebra e l’altra con lo scopo di attenuare le pressioni sviluppate durante i movimenti, ad esempio mentre si salta, si corre o si subiscono scossoni sul sedile dell’auto. Nonostante ciò, le funzioni del disco intervertebrale si estendono ben oltre la sua, peraltro importantissima, azione antishock. Questo cuscinetto, infatti, conferisce alle vertebre sovrapposte una certa motilità per cui la colonna può, entro certi limiti, curvarsi in tutti i sensi ed eseguire modici movimenti di rotazione; se non esistessero i dischi intervertebrali, le vertebre, oltre ad usurarsi molto rapidamente, avrebbero un’escursione articolare ancor più limitata.
Quindi, cosa succede…?
Succede che, a partire da 25 anni circa, i dischi intervertebrali cominciano a consumarsi per un naturale processo di invecchiamento aggravato da episodi traumatici, sovrappeso, posture lavorative e/o predisposizione, perdendo così, gradatamente, le sue funzioni.
Non è una malattia, ma un processo normale, praticamente fisiologico.
In alcune persone però questo processo diventa “patologico”, perché avviene in modo più rapido del normale, talvolta coinvolge più dischi allo stesso tempo e si associa ad altri disturbi come l’artrosi delle vertebre o l’ernia del disco.
Per capire meglio il processo lesionale del disco intervertebrale è importante conoscere qualcosa di più per comprendere al meglio la terapia che proponiamo contro l’ernia del disco.
I dischi sono costituiti da una struttura fibrocartilaginea flessibile; ha la forma di una lente biconvessa che ben si adatta a quella dei corpi vertebrali a cui è interposto. In ciascun disco si possono riconoscere due parti: nucleo polposo composto una piccola massa centrale, gelatinosa, giallognola e costituita da circa l’88% da acqua, ha lo scopo di rispondere alle sollecitazioni delle forze agenti sulla colonna e di distribuirle in modo uniforme all’anulus fibroso: è un tessuto elastico stratificato costituito da una matrice extracellulare arricchita da una serie di fibre proteiche (principalmente collagene tipo II quindi acqua).
È un’impalcature solida e concentrica al nucleo polposo. Ha lo scopo di contenere e proteggere il nucleo e conferisce al disco grande resistenza alla compressione.
Non a caso l’acqua è stata più volte evidenziata…
Quando questa “azione di contenimento” del nucleo non avviene per le cause che abbiamo citato, si provoca la deformazione del disco con conseguente fuoriuscita del nucleo che entra in conflitto con la radice nervosa scatenando dolore lungo tutto il decorso del nervo.
Quali terapie è meglio fare?
Per quanto efficaci le terapie conservative come la fisioterapia, osteopatia, kiropratica, ginnastica medica, etc. non sempre i risultati sono così incoraggianti. Si ricorre quindi in “extremis” alla chirurgia (discectomia) dove il risultato e le aspettative sono certamente migliori. Si tratta comunque di un intervento invasivo se pur necessario che spinge spesso lo stesso neurochirurgo a valutare altre soluzioni prima di intervenire col bisturi.
Oggi, con molto orgoglio da parte nostra , esiste un ulteriore soluzione all’ernia del disco del tutto non invasiva ed efficace già in prima seduta.
Si tratta del protocollo Dyshernic che abbiamo presentato con grande successo al congresso “Il Mal di Schiena: un gioco di squadra?” del 17 Febbraio 2018 in Acqui Terme con la prestigiosa partecipazione del Dott. Iacopo Conte (anestesista, algologo), del Dott. Andrea Barbanera (Neurochirurgo), del Dott. Roberto Cardelli (Fisiatra) e del Dott. Alessandro Lozza (Neurofisiopatologo) ed il sottoscritto.
Protocollo Dyshernic
Il supporto tecnologico in questi ultimi anni da parte dell’azienda Winform è stato fondamentale; grazie ad una politica aziendale basata sull’ascolto delle necessità e all’esperienza “sul campo” dei terapisti, unita ad importanti investimenti nella ricerca, si è arrivati ad invertire il processo lesionale dell’ernia del disco.
Il “Protocollo Dyshernic”, infatti, considerando l’anatomia, la composizione dei tessuti biologici e la patologia è in grado di invertire la fuoriuscita del disco intervertebrale e di conseguenza il conflitto che si produce con la radice nervosa.
Questo approccio strumentale sarà supportato da manipolazioni vertebrali e neurologiche come l’osteopatia insegna, mirate al ripristino della mobilità del nervo con conseguente “disincastro” dal disco erniato ma questo aspetto lo vedremo in seguito.
Come funziona?
Come descritto precedentemente il nucleo polposo e l’anulus che costituiscono il disco intervertebrale sono costituiti da circa il 90% di acqua.
La fuoriuscita (erniazione) del nucleo polposo possiamo quindi considerarla come un palloncino pieno d’acqua che “si appoggia” al nervo che emerge a fianco provocando, così, dolore e parestesia lungo tutto il suo decorso (braccia o gambe). Fig.2
Attraverso una radiofrequenza col principio del condensatore (Tecar) a bassa potenza e solo con il sistema di regolazione dell’assorbimento dell’energia indotta (tecnologia Winform) possiamo invertire il processo di erniazione disidratando il tessuto del disco a contatto con la radice nervosa. In questo modo otteniamo una decompressione tra disco e nervo.
La strumentazione utilizzata è una Tecar Sin 200w in grado di monitorare istantaneamente l’assorbimento nel corpo di energia indotta. È una modalità di trasferimento energetico, col principio del condensatore in cui utilizza l’energia endogena del corpo umano. Questo sistema attiva ed accelera i naturali processi riparativi in superficie ed in profondità.
Utilizzando la modalità profonda, quindi indicata per tutti i tessuti intrinseci alla colonna vertebrale tra cui vascolo-linfatici, ed in una modalità atermica (bassa temperatura) si producono importanti effetti di riassorbimento sui versamenti intra-articolari ed edemi attraverso una importante stimolazione del microcircolo.
Questo principio, applicato all’ernia (palloncino pieno d’acqua), produce una disidratazione del nucleo polposo migrato inducendo il tessuto ad un riassorbimento.
Quindi l’ernia “rientra”?
No, l’ernia non rientra, perché, per spiegare meglio il meccanismo, è come far rientrare il dentifricio spremuto dal tubetto. Con il protocollo Dyshernic l’ernia si disidrata, la sua consistenza si riduce alleviando il conflitto sulla radice nervosa, trova una posizione più innocua nei confronti delle strutture algogene (quelle capaci di evocare dolore) locali (sacco durale, radici, anulus e vene peridurali), riduce il grasso peridurale (10% acqua) e ne occupa lo spazio.
Il Protocollo Dyshernic funziona sempre?
Funziona sempre il principio fisico/meccanico, gli effetti sul tessuto erniato sono per tutti quelli citati sopra. In termini di dolore, risultati e numero di sedute questo aspetto è del tutto soggettivo.
Un’ernia espulsa, molto compressiva, ostruente e con impotenza funzionale dell’arto interessato sarà certamente più resistente al Protocollo e forse destinata ad una soluzione chirurgica con migliori risultati.
Nei casi più “leggeri” ma con sempre dolore o parestesia irradiato agli arti col Protocollo Dyshernic si ottengono risultati sorprendenti spesso risolutivi.
Risolutivi? Quindi si guarisce definitivamente?
Si, si può guarire definitivamente, ma come nel caso di terapia conservativa, infiltrativa e chirurgica, anche il Protocollo Dyshernic non esclude la recidiva. Dipende, fondamentalmente, dallo stile di vita del soggetto. Nel caso in cui si tratti di individuo che svolge un’attività lavorativa con un importante impegno fisico, non rispetto dell’ergonomia sul posto di lavoro, attività hobbistiche o sportive traumatiche, sovrappeso, etc. , la probabilità che si verifichi una recidiva sono molto alte.
Fortunatamente, in caso di recidiva, questo Protocollo è ripetibile.
Corrado Ghione – Osteopata D.O